Ormai le notti insonni, passate a pensare a che cosa sarebbe stato di noi, di me soprattutto, non le contavo nemmeno più.
Accucciata su di una sedia, torturando fra le mani nervose un fazzoletto di cotone, aspettavo che bussasse alla mia porta e che, lui, diventasse, per poche ore ancora, un’illusione splendidamente solo mia.
Avrei voluto essere spensierata, seduta eccitata in prima fila. Provare quel misto di euforia e ansia, come una ragazzina, e godere nel vederlo brillare davanti ai miei occhi, sognare di potere conoscerlo, parlargli, scattare una foto da portare per il resto dei miei giorni fra i fogli del mio diario.
Avrei voluto con tutto il cuore potere essere così, continuare a sognare, per non provare mai più quel devastante senso di perdita, quando, al mattino, nello stesso silenzio impercettibile con cui era arrivato, il suo corpo veniva inesorabilmente risucchiato dalla porta di casa mia.
Quell’insopportabile senso di smarrimento, inutilità e – che ci sto a fare sulla terra io – che stavo provando in quell’esatto istante, mentre già fremevo per rivederlo.
L’unico mio desiderio era di poter sfiorare i suoi capelli per il resto della mia vita.
Un desiderio folle e follemente egoistico. Fare un passo oltre, oltre la prima fila.
Andandosene da casa mia, l’ultima cosa che mi aveva detto era che si aspettava di vedermi al suo spettacolo, in prima fila.
Piacere e pena, ecco cosa avrei di nuovo provato.
La mia volontà tormentata non era riuscita a sottrarsi a quella destinazione che a priori mi avrebbe fatto soffrire. Mi avrebbe fatto godere e tormentare.
Così, gettando nell’immondizia la ragione e dando retta al cuore, mi presentai lì, al centro della mia amata odiata prima fila.
Oltre, fra le luci che nascondevano il dirupo scosceso delle mie paure, era apparso lui, in perfetta forma, a cominciare il suo spettacolo. Lui, capace di attirare gli occhi affascinati del pubblico in adorazione, uomini, donne (i loro sguardi per me insopportabili), ragazzine isteriche. E me.
Piacere e pena, nel vedere la sua silouhette leggera di ballerino, la curva dolce delle sue spalle. Piacere e pena, ricordare quella stessa curva accarezzata dalle lenzuola stanche delle nostre notti.
Mi aveva visto subito, mi aveva fatto un cenno con la mano, in un movimento che era diventato l’inizio di un ballo. Mancavo io, parte complementare di quel nostro ballo tanto simile, piacere e pena, il ricordo dei suoi occhi così vicini ai miei.
Si muove, volteggia, con le mani stringe forte la vita sottile della prima ballerina, ecco d’improvviso il piacere di sentire le sue mani e la sua voce, con la stessa forza, sul mio corpo.
La musica alta come quella chiusa nella passione soffocante di una stanza, e mi si velano gli occhi, e mi si stringe il cuore. Amore e dolore, oltre la prima fila. Non ne ha avuto ancora abbastanza, vuole sentirmi urlare. Esulto e soffro, fra la sua camicia bianca che nasconde un torace perfetto e delicato, come il lenzuolo timido che copre e scopre il suo corpo. Piacere e pena, fra i suoi capelli, a tempo di musica, sparpagliati sul cuscino, l’adrenalina si sente nell’aria, le urla, l’isterismo, sono la mia passione e la sua passione.
Eccola, la sensazione forte che mi prende dalla punta dei piedi, pulsa nel ventre ed esplode esattamente a metà tra cuore e cervello, e mi costringe a serrare i pugni, e poi li allargo, e porto le mani sul cuore, alzo il volto per cercare aria da respirare, fra il suo profumo, la sua pelle madida di sudore, gli occhi serrati, il mio amore e le mie pene.
Ancora la sua voce, mi sussurra parole irripetibili, la sua danza, un ballo a due senza voglia che finisca, un boato, l’esplosione del pubblico pagante, una lacrima di gioia scende, lo spettacolo sta per terminare. Riapro gli occhi e il suo sorriso radioso è già pronto a confortarmi, come lo è stasera, oltre la prima fila.
Il palco poi, come la mia porta, risucchia in fretta la sua immagine, al pubblico lascia emozioni e sogni, io mi ritrovo nel cuore amore e pena.
Amare dal profondo qualcuno e accettare l’eterno baratro oltre la prima fila che ti divide da lui: ecco la mia pena.
Sussultai al trillo del campanello.
A piedi nudi fra la brezza fresca del mattino, corsi ad aprire, avida di vedere il suo volto.
“Mi fai entrare?”
Ecco il mio amore.
Un’illusione splendidamente solo mia, per poche ore soltanto, quando le luci dello spettacolo sono spente, il pubblico padrone sta dormendo e oltre la prima fila non rimane più nessuno, solo il buio.
Alessandra Gianoglio – 28 Ottobre 2003
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