frammenti di un personaggio che mi sta cercando
Da quando sono diventata mamma, il tempo si è sbriciolato in tanti piccoli pezzi.
Scrivere è diventato un lusso, un gesto da prendere in prestito tra un sonnellino e un rigurgito di latte.
Ma leggere…
Leggere è diventato il mio modo per restare viva dentro alla scrittura. Un altro tipo di studio. Invisibile, silenzioso, potente.
In questo tempo sospeso sto cercando qualcuno.
Un personaggio che ancora non conosco, che non so nemmeno se sarà uomo o donna, che non ha nome, né volto, né voce — eppure lo sento avvicinarsi. Lo sto cercando nei frammenti delle mie letture, come si cerca una cosa perduta in fondo a un cassetto chiuso.
E in due romanzi così diversi — L’amica geniale di Elena Ferrante e Marina Bellezza di Silvia Avallone — ho sentito qualcosa muoversi.
Lila e Marina. Due ragazze diversissime per classe, per geografia, per intenzione.
Eppure qualcosa mi ha scossa.
Un filo teso tra le due. Un’energia simile, quasi pericolosa.
Non saprei darle un nome, e forse non voglio. Ma è quella cosa lì, che mi si impone dentro.
Che chiede di essere guardata, riconosciuta, desiderata, anche quando si finge indifferente.
Lila è un enigma: si nega, si ritrae, si nasconde dentro il greco e il latino, dentro i corpi degli altri. Ma in ogni gesto — anche quelli più duri, più crudeli — c’è come un’eco che urla: vedimi. Non nel modo in cui si mostra una ferita, ma come chi fa esplodere qualcosa per far sapere che c’è.
“Abituata ormai ad avere sempre addosso lo sguardo degli uomini, si muoveva come se in quel posto affollato non ci fosse nessuno…” (L’amica Geniale, Elena Ferrante)
Marina invece è luce brillante e violenta, è volontà spietata. Vuole il palco, la ribalta, la libertà. Ma ogni volta che alza la voce, io sento il pianto. Ogni volta che seduce, io vedo la bambina.
Anche se mi fa arrabbiare, e la odio e dico “ma non è possibile comportarsi così!” quando la leggo, quando diventa detestabile.
“L’intelligenza è una cosa, la bellezza un’altra. E non importa quanto sia effimera e di breve durata, infida e immeritata. Anzi, proprio perché lo è – qualcosa che appartiene solo alla natura, allo stato primitivo dei sensi e del potere – è capace di un’attrazione che i pensieri e le parole non avranno mai.” (Marina Bellezza, Silvia Avallone)
Entrambe portano addosso il peso di essere amate — e la fame di non esserlo mai abbastanza.
Mi colpisce come entrambe si costruiscano da sole, con forza brutale, rifiutando l’aiuto, disprezzando chi non regge il loro ritmo. Ma mentre Lila si spegne nel buio — la sua grandezza è nel sottrarsi — Marina cerca la luce fino a bruciarsi. Una vuole sparire nel silenzio, l’altra vuole essere un’eco infinita.
E forse è proprio lì che si toccano. Nella lotta contro l’amore. Nella paura di dipendere. Nella tensione continua tra il bisogno e il rifiuto.
E io, da lettrice, mi trovo in un posto scomodo: le ammiro, le giudico, le riconosco. E a tratti, le invidio.
Sto ancora cercando il mio personaggio. Ma so che avrà, da qualche parte, uno sguardo simile al loro. Uno sguardo che pretende attenzione anche mentre dice di non volerne.
Continuerò a cercarlo nei frammenti dei libri e nei frammenti di me.
Unirò i puntini della mia vita con quelli raccolti altrove — strappati da pagine altrui, presi in prestito da emozioni che non sono mie.
Ma una cosa la so: dovrà contenere, in silenzio, il seme feroce che ho intravisto in Lila e in Marina.
Quel tipo di scintilla che non chiede permesso per bruciare.
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