Mentre in lacrime ti tengo fra le braccia, inerme, e il tuo muso sembra ancora guardarmi con quel sorriso furbetto che non ti ha mai abbandonato, penso che non siamo noi a scegliere l’amore, ma è l’amore stesso a sceglierci.
Proprio così.
Quando ti vidi per la prima volta, non dovevi essere destinato a me, ma come una piccola furia prendesti a correre nella mia direzione, ed io mi inginocchiai per prenderti in braccio e accarezzarti, mente con lo sguardo cercavo il cucciolo bianco che mi era stato promesso. Ma tu avevi deciso ormai, e incurante di tutto il resto, con le tue zampette corte e cicciotte cominciasti ad arrampicarti sulla mia maglia fino ad arrivare ad appoggiare il tuo musetto nero sulle mie labbra. Il tuo alito sapeva di latte, il tuo pelo arruffato anche e in una carezza d’amore ti strinsi a me, che piccolo che eri, mi stavi in una mano, tutto pelo e coda, e il tuo pancino rosa a pois, che sapeva anch’esso di latte, così morbido e fragile. Mi guardasti negli occhi con i tuoi occhi neri, che quasi non si scorgevano sul tuo muso, se non fossero state per quelle due macchioline color nocciola, che si aprivano rotonde proprio sopra i tuoi occhi proprio come due nocciole dolci e buone.
“Prendo lui”, comunicai al padrone, che stava ancora cercando per il canile il cucciolo bianco che mi aveva promesso. Nessuna obiezione, ti portai via con me, stretto fra le mie braccia: ora dovevamo vincere la prima sfida insieme: fare accettare la tua presenza a mia madre.
Lei era stata chiara. Non voleva altri cani, sono un impegno troppo grande, si era giustificata. Ma io avevo voglia di prendermi cura di te: le avevo promesso che lo avrei fatto ogni giorno, ma lei aveva obiettato che, alla fine, avrebbe dovuto prendersi cura lei di te, perché i giovani come me, tanto finiscono sempre per pensare ad uscire e ad andare in vacanza.
Beh, ora, mentre ti ho qui fra le mie braccia per l’ultima volta, ripenso a come quell’amore abbia sciolto anche il suo cuore burbero, in un istante. Perché appena ti ha visto il suo broncio perenne è scomparso e subito ha voluto stringerti fra le braccia, e tu, quasi per l’emozione, le hai fatto pipi addosso.
Un sorriso si apre anche ora fra le lacrime, mentre accarezzo il tuo pelo ancora così morbido e nel profondo, mi pare ancora di sentire il tuo dolce profumo di cucciolo. “Come lo chiamiamo?” Ti guardai, nel tuo manto bianco e nero come i tasti del pianoforte, sorridente e felice come noi mai, tanto che mi parve di sentire una musica nel mio cuore. “Lo chiameremo Mozart!”
Caro Mozart, compagno di vita e di avventure, oggi te ne vai, e non mi sembra ancora vero. Come vorrei stringerti per il resto dei miei giorni, ma non è possibile, tu adesso dovrai correre sull’arcobaleno ed abbaiare ai temporali nel cielo.
Ricordi la prima volta che ti ho portato a nuotare al fiume? Eri una macchia pelosa bianca e nera che respirava forte dal naso e che si affrettava a raggiungere riva per poi scrollarsi con forza tutta l’acqua di dosso e ogni goccia spruzzata via era il trillo di una mia risata, e ad ogni mia risata scodinzolavi, ed ogni mia corsa tu mi correvi accanto, ed ad ogni mio riposo, ti accucciavi al mio fianco, non importava il giorno, l’ora, se fosse notte fonda o mattina presto. E te li ricordi i tuoi musi lunghi quando mi vedevi andare via di casa? Ogni volta ero certa che non mi avresti più guardato per almeno una settimana. Ma il tuo amore riusciva sempre a stupirmi, perché cominciavi ad abbaiare non appena sentivi il rumore dell’auto arrivare in cortile e non facevo in tempo ad aprire la porta che tu eri già in festa, saltellavi intorno, mi correvi in braccio e di certo non pensavi a lesinare i tuoi baci.
Tu riuscivi a perdonarmi sempre tutto. Se ti lasciavo solo un’ora, un giorno o una settimana, per te non faceva differenza. Appena tornavo mi accoglievi con mille baci e abbracci. E guai a me se avessi osato accarezzare un altro cane! Dopo le feste giungeva il momento dell’ispezione: e con il tuo tartufo sempre umido e nero, cominciavi ad annusarmi minuziosamente i piedi, i polpacci, la mani e se percepivi l’odore di qualcun altro, allora ringhiavi, geloso e un po’ offeso, ma bastava una mia carezza sulla testa, per rimettere tutto a posto. E allora mi fioccavi fra le mani decine di baci, che anche se ero triste, riuscivi sempre a farmi sorridere.
L’amore mi ha scelto, tu mi hai scelto, caro Mozart ed oggi hai deciso di andartene, così, all’improvviso, che qualche minuto prima ti ho visto uscire in cortile, che rimarrà sempre pieno dell’eco delle tue infinite corse, e qualche minuto dopo ti tengo inerme fra le mie braccia, seduta fra l’erba alta del prato. Come dimenticare le tue corse fra i prati: si vedeva solo la tua coda a punto interrogativo spuntare come un periscopio dall’erba che era troppo alta per te: allora a saltelli cercavi di starmi dietro ed eri l’essere saltellante più buffo che avevo mai visto fino al quel giorno. Come allo stesso modo ti rotolavi nella neve, e il tuo manto si tingeva di bianco, e come, nella pioggia, ogni pozzanghera era la tua e poi il tuo gioco preferito era di entrare di corsa in casa lasciando le impronte delle tue zampine ovunque, ed evitando prontamente le urla di mia madre, ti facevi piccolo piccolo per infilarti nell’angolo più angusto, sotto al divano. “Mozart, almeno fatti asciugare!”, ti chiamavo e allora timido mettevi fuori il muso che con quegli occhioni sapevi già a priori che non ti avrei punito; allora ti accucciavi fra le mie gambe e ti godevi il calore del phon, solo se ti tenevo una mano sulle orecchie, perché l’aria nelle orecchie, proprio non la sopportavi.
Come non sopportavi gli odori forti, ricordi? Come ti arrabbiavi il giorno delle pulizie, con il pavimento pulito che sapeva di detersivo tu cominciavi ad arricciare il naso e a starnutire, allora dovevi uscire ed io dovevo rilavare, perché lasciavi i segni delle tue zampine e i suoi multipli di quattro su tutto il tragitto dalla tua cuccia alla porta. Così come detestavi l’autunno e l’odore delle arance, per non parlare dei limoni, poi! E va bene, lo ammetto, un po’ mi divertivo ad avvicinare al tuo naso la buccia di un arancio o di un limone: ti avvicinarvi fiducioso nella speranza di qualche bel biscottino e poi, appena ti accorgevi dello scherzo, il tuo muso si arricciava in quell’espressione talmente buffa, che era una tentazione troppo forte rinunciare a vedertela fare! Ti allontanavi imbronciato ma bastava un “eddai, vieni qui”, che subito cambiavi idea e correvi di nuovo fiducioso fra le mie mani, in cerca di coccole.
Mia madre mi dice che è ora di lasciarti, adesso, ma io voglio stringerti ancora un po’ rimanere con te fino all’ultimo istante. Perché tu ci sei sempre stato per me, ricordi, caro Mozart? Sei rimasto con me, sempre, fino all’ultimo: quando stavo male te ne accorgevi sempre e ti accucciavi sul tappeto affianco al mio letto, e mi bastava allungare una mano per accarezzarti la testa e giocare con le tue zampine, che subito la febbre pareva scendere di qualche linea.
Ci sei stato quando lui ci ha lasciato, e i tuoi baci hanno leccato ed asciugato le mie lacrime, ci sei stato nelle mie domeniche chiusa in casa, a tenermi compagnia rinunciando al bel sole di fuori e ci sei stato a rallegrare le mie passeggiate in solitaria, sempre al mio passo, e solo ogni tanto correndo oltre, forse per mostrarmi che esiste sempre una valida ragione per continuare ad andare avanti nella vita.
Come potrei, quindi, abbandonarti proprio adesso? No, ti terrò con me, fra le mie braccia, fin quando da sola mi renderò conto che sarà ora di lasciarti andare verso un luogo più bello e più felice di quello dove sei stato fino ad oggi. Chissà se in quel luogo ci saranno deliziosi dolci per cani, e mille varietà di crocchette e milioni di morbide coperte dove riposare la notte, e immensi prati verdi dove correre di giorno. Non lo so, ma vorrei tanto che fosse così, caro Mozart.
Ti stringo ancora, forte, per l’ultima volta, ti tolgo piano il collare per restituirti la libertà infinita in cui sei nato, e penso che vorrei che fossi proprio tu a venirmi a prendere quando anche io giungerò nel posto in cui stai per andare ora. Si. Perché sono certa che fra la luce immensa che ci avvolgerà, riuscirò a riconoscere ugualmente i tuoi saltelli di luce e il tuo abbaiare incessante e squillante di gioia. Me lo prometti, caro Mozart? Mi verrai a prendere? Ti guardo, ti carezzo il muso, e il tuo sorriso furbetto ed immutato è come se mi rispondesse di si.
Così, ti lascio andare, fra le mie braccia, piano, ti adagio nella tua cuccia eterna, proprio qui sotto la tua ortensia preferita, si proprio quella dove amavi scavare le buche e rifugiarti dalla calura estiva di agosto, e dove ci nascondevi i tuoi ossi. E piano guardo il tuo corpicino scomparire fra le braccia amorevoli di madre terra, lei che ti ha dato alla luce, certamente saprà accoglierti con il suo abbraccio premuroso ed eterno. A lei ti consegno, ma in cambio, da te, ho avuto un dono molto più prezioso, che non potrò mai dimenticare. L’amore che ti sceglie. L’amore incondizionato.
Alessandra Gianoglio – 1 febbraio 2012
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Il tuo talento è unico Alessandra. 🙂 Questo racconto breve di vita è un intero romanzo, ha una forza straordinaria. E’ bilanciato, crescente, delicato e struggente, amorevole e profondo. Complimenti di cuore per essere riuscita a trasmettere quello che Mozart è stato. Continua a far emozionare tutti noi…grazie. <3
Ale è splendido e adesso che ho smesso di piangere anch’io ti ringrazio. Meraviglioso come il dono di avere un angelo che ci scegli e si dona incondizionatamente, solo chi ha sentito questo amore così puro può comprendere. Anche con il loro andarsene ci sono maestri a te un abbraccio, a Mozart una carezza ed anche a Spina
Grazie mille! Un abbraccio a Spina…