Quel pomeriggio ero stanca.
Non la stanchezza di una notte in bianco. Non quella che passa con un caffè forte.
Ero stanca da un anno e mezzo, da quando la mia bambina è nata e il mondo ha cambiato ritmo.
Notti che si sbriciolano in tre, quattro risvegli. Pianti che ti entrano in testa come acqua tra le crepe. Dentini, reflusso, febbre. E poi il lavoro, la casa, le scadenze, le difficoltà che la vita ti mette davanti e non puoi rimandare.
Dopo che hai un figlio, non è più la solita stanchezza. Ti si infila nelle ossa, nelle spalle, nel respiro. È un macigno invisibile che porti ovunque. E poi il ritmo veloce di certe giornate, arrivare a casa e volere solo dormire, e invece non puoi.
Così sono uscita per una commissione, un gesto automatico, senza aspettative, per prendere un po’ d’aria, un caffè da sola.
Non pensavo a lei. A volte, quando passo davanti al suo negozio, cambio strada: spettinata, con occhiaie scure, senza voglia di raccontare come sto.
Noi che abbiamo lavorato insieme per cinque anni, e fra noi non è mai stato solo lavoro. Bastava lo scorcio d’uno sguardo per capire se l’altra stava sorridendo davvero o solo per cortesia.
Poi la vita ha spostato le carte: le strade hanno fatto cammini immensi, si sono inerpicate, hanno allontanato i nostri cuori.
Oggi, invece, eccola.
— Ciao.
— Ciao.
Gli occhi si riempiono di acqua. Il cuore accelera e poi sembra traboccare.
— Posso abbracciarti?
— Sì.
Il mondo si ferma. Un abbraccio pieno, intero. Un posto caldo, fatto di vestiti e pelle, dove depositare le emozioni.
Mi sento subito al sicuro, li dentro, fra le sue braccia, ad annusare il suo collo e lasciare che i pensieri pesanti si sparpaglino.
Un gesto semplice e immenso che azzera il rumore interno.
La scienza dice che quando ci si abbraccia, il corpo rilascia ossitocina e il cuore rallenta.
Io, in quell’abbraccio ho ricominciato a respirare.
Forse gli abbracci più potenti sono quelli che arrivano senza preavviso, da mani che non ti stringono ogni giorno, ma che riconoscono in te qualcosa di antico.
Come se per un istante ci fosse un passaggio segreto tra due vite separate, e lì, nel mezzo, si liberasse lo spazio per respirare di nuovo.
Certe carezze all’anima non hanno bisogno di essere spiegate: bastano pochi secondi, e ci ricordano che, anche nei giorni più pieni di fatica, non siamo mai davvero soli.
Grazie, amica mia, per il tuo abbraccio.
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