Dov’è Lela ?

Tempo di lettura: 6 minuti Certi amori non finiscono mai. Rimangono nei ricordi, nei gesti, nella vita che continua, nonostante tutto.
A modo suo.

Tempo di lettura: 6 minuti

Ho sposato la mia dolce Amalia il 6 Giugno del 1957 e fin dal primo giorno, quando la vidi  con un cesto di pesche in mano, mi sono innamorato di lei.

Quarantadue anni di matrimonio, due figlie, quattro nipoti e una vita felice insieme.

Sono arrivato a ottant’anni o forse ottantuno, a volte perdo il conto, ma non mi sento molto cambiato rispetto a quando ero giovane. Amo ancora lavorare il ferro, sapete, martellare, piegare e tagliare.

Possiedo un laboratorio vicino casa dove passo le mie giornate. C’è sempre qualcosa da fare per me, anche se ormai ho lasciato tutto in mano al capo officina, Michele. È lui che dirige i dipendenti e mi affida i compiti.

C’è un gran via vai di clienti, dopo sessant’anni di duro lavoro gli ho lasciato proprio una bella attività avviata, con il parcheggio sempre pieno di macchine.

Tutti mi salutano, scambiano qualche parola con me.

“Luigi come va oggi?”

“Luigi cosa hai fatto di bello stamattina?”

“Luigi le hai prese le pastiglie?”, si assicura Michele, se mi vede stanco.

Sono gli acciacchi della vecchiaia, gli dico, le gambe che fanno male, le dita che si accartocciano.

Lui ribatte che mi fa bene lavorare, ma che non devo esagerare.

Allora mi fermo e guardo fuori dalla grande finestra; ci vedo in lontananza le colline, i boschi, e il ricordo delle camminate che facevo in gioventù.

Non che non cammini più ma a volte mi mancano le forze. La mia Amalia lo sa e mi comprende.

Le nostre figlie, invece, non fanno altro che darmi contro.

“Papà devi smetterla di lavorare. Papà non devi uscire a camminare che poi ti perdi. Papà non devi stare da solo, perché non vieni la domenica da noi?”

Ma io sto bene.

Io dico loro di occuparsi della famiglia e dei figli, che a me stesso ci penso io.

Ho la mia Lela, (mi piace ancora chiamarla così) che da brava cuoca non manca mai di farmi trovare un pasto caldo, lei mi accudisce con cura.

Quando arrivo a casa la trovo ad aspettarmi, la tv accesa, la sua voce bella come quella di un usignolo, che canta, mentre mi cucina la cena.

Mi viene da sorridere a vederla ancora qui con me, dopo tanti anni. Non voglio cambiare niente della mia vita.

Ma negli ultimi mesi anche Lela ha insistito.

“Luigi perché non smetti di lavorare e stai a casa con me?”

Io non so risponderle, alzo le spalle e lei mi sorride; al lavoro ci devo andare. Michele, se potesse, non mi farebbe mai uscire dall’officina. A volte si mette davanti alla porta e mi dice: “Luigi lo sai che non puoi uscire da qui? Lo sanno Luisa e Anna?”

“Non dirglielo che sono di nuovo venuto qui da solo”, gli rispondo, e lui mi batte un’accondiscendente pacca sulle spalle.

Per fortuna l’officina è vicino a casa, a volte mi sembra di vivere qua dentro. Non ricordo nemmeno come ci arrivo. Mi ritrovo qui, seduto al tavolo, in mezzo agli altri dipendenti, e il tempo passa.

Ma una di queste sere, rientrato a casa,  non non ho trovato Lela ad aspettarmi, ma le mie figlie, Luisa e Anna.

“Ciao Papa, ti abbiamo portato da mangiare. Siediti con noi.”

“Ma che volete? Non andate a casa vostra? La mamma ha già cucinato per me.”

Loro si sono guardate. Uno sguardo lungo, sconfortato.

“La mamma non c’è, papà.”

Ho guardato l’orologio appeso al muro. Appena le sette di sera.

“Sarà andata a fare la spesa, adesso arriva.”

E infatti la mia Lela è arrivata, e abbiamo cenato tutti insieme, come ai vecchi tempi.

L’altro giorno, invece, Anna si è fatta trovare di sorpresa in officina.

“Ciao papà, come stai?”

“Sto bene.”

Ero seduto al banco che stavo trafficando con la mola.

“Ti ho portato il pranzo, papà. E anche dei vestiti puliti.”

Io l’ho guardata di sbieco.

“E perché? La mamma non ha lasciato pronto a casa?”

Anna ha cercato lo sguardo di Michele, che si è avvicinato a passo lesto.  Ha messo una mano sulla spalla di Anna, lei ha piegato di lato la testa, le sono venuti gli occhi lucidi.

“Papà, la mamma non c’è”, ha detto.

“Ah, si ?”, ho risposto.

Poi ci ho pensato su e subito m’è venuto in mente.

“Hai ragione. Oggi pranzava da Luisa.”

Luisa, la nostra figlia più giovane è sempre stata una mammona, anche se ha preso marito da un pezzo e ci ha dato anche tre nipoti.

Michele e Anna si sono scambiati un lungo sguardo.

“Papà, lo sai dov’è la mamma? Ti ci abbiamo portato solo ieri. Ricordi?”

Ho alzato gli occhi su di lei, facendo girare la mola.

“Ma sì, sì. Ma poi torna, lo sai”

Lela passa molto tempo in quella nuova casa che Luisa e Anna le hanno comprato. In un condomino di cinque piani, nuovo nuovo, in mezzo al verde, dove ci abita tanta gente.

Lela occupa l’alloggio al piano terra, comoda a uscire in giardino e sui viali di cipressi lì vicino.

Ci sono stato pure io una volta, le ho anche portato dei fiori, alla mia Lela, come per dirle “sono contento che ti sei presa questa nuova casa.”

Lo so che Lela deve andarci spesso, un po’ perché ci sono tutti i comfort, un po’ per non offendere le nostre figlie.

“Loro dicono che ho bisogno di riposo.”, m’ha detto un giorno, con lo sguardo rassegnato.

L’ho abbracciata e le ho risposto che però le nostre figlie non devono venire a comandare la nostra vita.

Ma se ci penso bene, la capisco.

Da quel giorno della cresima di Antonella, nostra nipote, Lela si sente spesso stanca. Ha cucinato per quaranta persone e la sera, dopo tutta la fatica, mi ha detto sfinita “vado a letto.”

Ho terminato di sparecchiare e ho fatto capolino dalla porta della camera. L’ho vista che dormiva, le ho carezzato il viso.

Ha un viso così dolce, la mia Lela. Sottile, ma con le guance paffute da ragazzina, e gli occhi più verdi di tutte le foglie di primavera.

Lei m’ha abbracciato, quel giorno. Un abbraccio stretto, che ho sentito fra i capelli il buon profumo di violette che aveva sempre da ragazza.

Poi, carezzandomi il volto, si è alzata.

Io mi sono appisolato un po’, fino a che le luci del mattino mi hanno svegliato, insieme al suono della sua voce che cantava. Che profumino che veniva dalla cucina!

La mia Lela mi stava preparando la colazione.

Dal giorno in cui Anna m’ha fatto la sorpresa in officina, Lela non è più tornata a casa da me.

Mangio da solo, dormo da solo, il giorno lo passo in officina, e il tempo passa.

“Dov’è la mia Lela?”, ho chiesto, ma nessuno mi mi ha risposto.

Esco di casa per cercarla, cammino e cammino ma non la trovo.

“Perché non è ancora tornata?”

Michele mi dice di stare tranquillo.

Metto una mano una dentro l’altra, guardo il sole che batte sui vetri della grande finestra.

Riprendo a lavorare ma mi viene il fiatone. Sudo.

“Dov’è la mia Lela?”, chiedo di nuovo.

Luisa e Anna arrivano di corsa in officina. Le ha chiamate Michele.

“Dov’è la mamma?”

“Papà”, comincia Luisa con voce dolce “Vuoi venire con noi a vedere dov’è la mamma?”

“E portatemi, certo!”, dico, alzandomi di scatto.

Una volta arrivati, dopo il grande cancello in ferro battuto, il viottolo di pietrisco bianco, un paio di case, eccola, finalmente la vedo.

È lì. In quella casetta al piano terra.

“Ciao Luigi mio”, mi saluta con la sua voce da usignolo.

C’è persino la sua foto sul campanello.

“Hai visto dov’è la mamma? È qui.” Parla Anna e indica con il braccio.

Io la guardo, la foto in cui Lela sorride. Allungo la mano, la tocco.

Il marmo freddo mi da un brivido, scuoto il capo, alzo gli occhi al cielo.

“Eh, si. Ma stasera torna”, dico.

“Papà, la mamma non torna!”

“Ma che dici? Ma come non torna? Mi ha detto che torna stasera. Che mi prepara il minestrone. Vero Lela?”.

Mi volto, e la mia Lela è lì che mi sorride.

“Avete sentito? Ha detto che viene stasera.”

Loro scuotono il capo. Gesticolano. Anna scoppia a piangere.

“Papà la mamma non torna. La mamma non c’è più!”

“Ma che dici? Ma sei scema? Portatemi a casa che vedrai che Lela è già li.”

Scappo via, m’incammino veloce per il viottolo.

“Papà, aspetta! Dove vai?”

E no che non aspetto. Devo correre a casa.

Tremo. Arrabbiato. Nessuno capisce niente.

Le gambe si muovono veloci, respiro forte, il petto si alza e si abbassa. Due braccia mi agguantano da dietro, il sole mi batte negli occhi, Lela mi dice “sono qui, sono qui”. Prendo le sue mani calde, prima che tutto diventi buio.

Mi ritrovo a casa nel mio letto.

Quando apro gli occhi Lela è li vicino a me, mi sorride. Le sorrido anche io.

“Papà come stai?”, chiede Anna.

“Sto bene”, dico.  Tento di alzarmi, ma non ci riesco.

“Dottore, che dobbiamo fare?”. Luisa parla sottovoce, poco più in là.

Punto i gomiti sul materasso, riesco a buttare giù le gambe dal letto, cammino fino alla porta.

“Luigi dove vai?”, mi raggiunge il dottore con il camice bianco. È Michele.

“Michele”, ripeto il suo nome.

“Lo sai che non puoi uscire da qui.”

“Voglio andare a casa. Voglio fare una panchina. Una bella panchina in ferro battuto”

Qualche giorno dopo, faccio ritorno in officina. Michele mi sorride, tutti i dipendenti mi accolgono.  Ognuno è seduto al proprio tavolo che lavora, eseguendo ciò che Michele ha commissionato loro.

“Luigi come va oggi?”

“Luigi cosa hai fatto di bello stamattina?”

“Luigi le hai prese le pastiglie?”

Guardo fuori dalla grande finestra. Il sole è già alto nel cielo.

“Allora, Luigi, sei pronto per fare la tua panchina?”, mi chiede Michele, sorridendomi.

“Ma quale panchina?”, gli domando.

Lui tace.  Anna e Luisa, dietro di lui, mi guardano con gli occhi lucidi.

Mi chiamo Luigi e la mia vita è felice.

Ho sposato la mia dolce Lela, e fin dal primo giorno che la vidi con un cesto di pesche in mano, mi sono innamorato di lei.

“Dov’è la mamma?”, chiedo.

(leggi anche: Dov’è Lela? Curiosità, retroscena e un tip di scrittura molto utile)

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